Eucarestia: identità e principio di cambiamento – Catechesi di Don Federico Badiali

Ecco un riassunto della catechesi Eucarestia: identità e principio di cambiamento fatta il 28 Settembre 2021 da Don Federico Badiali nella nostra chiesa, e primo momento di sostanza per questo nostro anno della decennale Eucaristica:

EUCARESTIA, IDENTITA’ E PRINCIPIO DI CAMBIAMENTO

L’Eucarestia deve essere contemplata nelle sue tre principali dimensioni, che, nel corso dei secoli, hanno avuto diverse accentuazioni, ma che devono essere tenute insieme, altrimenti si riduce il mistero eucaristico e la nostra stessa realtà di Chiesa:

  1.  Banchetto: siamo davanti a una tavola

  2.  Sacrificio: c’è l’altare, dove si consuma il sacrificio che è immagine della Croce

  3.  Presenza: presenza reale del Signore

BANCHETTO

Dopo il Concilio Vaticano II si è molto enfatizzata la dimensione del banchetto; sediamo a una mensa comune. L’Eucarestia ha una dimensione fraterna (è per questo che l’altare, come in una tavola, è qualcosa a cui si sta intorno); il Concilio di Trento enfatizzò molto il concetto di sacrificio (per cui anche il presbitero era rivolto verso l’altare dove il sacrificio si compie) e anche il concetto di presenza (per cui il tabernacolo era posto sull’altare).

In realtà noi veniamo all’Eucarestia perché anche abbiamo bisogno di essere sanati nella nostra fraternità, che è qualcosa che, nel disegno di Dio, ci starà sempre davanti; veniamo qui perché vogliamo apprendere e ricevere la grazia della fraternità, a apprendere dal suo sacrificio che ha riconciliato tutto e tutti.

Ogni teologo del Nuovo Testamento ha accentuato uno dei tre diversi aspetti dell’Eucarestia; è San Paolo che accentua sul banchetto, ma parla dell’Eucarestia solo in modo correlato a discorsi sulla Comunità (ne parla ai Corinzi, che faticavano a vivere la fraternità; vivendo non in modo fraterno, si contraddice il dono dell’Eucarestia con cui si esprime la nostra identità)

Sant’Agostino si è profondamente ispirato a San Paolo; ha una sezione dei Sermoni in cui spiega i Sacramenti a coloro che li hanno ricevuti nella notte di Pasqua e, nel Sermone 227, dice che noi cristiani siamo ciò che riceviamo: il pane viene dalla farina, che viene dai chicchi di grano pestati con fatica (è la fatica fatta nel Catecumenato); la farina è stata unita all’acqua per farne una pasta sola (acqua del Battesimo), poi si è stati cotti dal fuoco (Spirito Santo); poi si è ricevuto questo pane. Quindi, siamo ciò che riceviamo. L’Eucarestia indica la mèta della Chiesa, che è essere un unico corpo.

SACRIFICIO

In latino, nelle parole della Consacrazione nella Messa, si dice: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo che sarà consegnato”; il verbo è “tradètur”, che è il verbo del tradimento. Nell’Ultima Cena, Gesù trasformerà il tradimento in dono di Sé, in consegna di Sé. Il tempo è il futuro, il segno della Cena che Gesù sta compiendo è anticipazione, significato previo, di quella che sarà la sua croce. La Cena è un dono anticipato della sua croce, del dono di Sé.

Nell’Ultima Cena Gesù presenta se stesso nella dimensione anticipata del dono di Sé (“Questo è il mio corpo che è per voi”); lungo tutta la sua vita Gesù ha vissuto la dinamica della pro-esistenza (esistenza-per) e durante l’Ultima Cena, alla fine della sua vita, lo significa nel segno dell’Eucarestia.

Gesù, che è stato dono per tutti, si trova davanti il gesto umiliante del tradimento; però non si tira indietro, si consegna, va fino in fondo. E’ disponibile a far sì che anche quel tradimento sia avvolto dal suo amore, perché non sia più un atto di tradimento ma diventi l’atto della sua consegna.

Come faccio a far sì che quell’evento torni alla mia vita? Ecco il Concilio di Trento, che dice che la Messa è ripresentazione, memoria e applicazione del sacrificio di Cristo. Dentro questo convito si inserisce quella forza immensa di amore che scaturisce da Cristo.

PRESENZA

Non siamo davanti a uno spettacolo teatrale che ci colpisce né a una suggestione di massa; il punto è che, nella fede, noi pensiamo che quel pane e quel vino non sono solo lo strumento attraverso cui diventiamo fratelli, ma c’è di più.

Nella Messa, nella mensa, c’è un unico piatto per tutti, un unico bicchiere (calice), un unico tovagliolo (purificatoio); ciò ci dice la fortissima intimità che unisce coloro che comunicano all’Eucarestia.

Il grande teologo del Nuovo Testamento, per la presenza, è San Giovanni; c’è un mangiare e un bere che realizzano una compresenza stabile tra colui che mangia e colui che è ospite, che invita al banchetto.

La presenza, nell’Eucarestia, è ciò su cui più ha insistito la teologia occidentale; “Questo è il mio corpo”; “Questo è il mio sangue”.. cosa significa “”? O è pane o è corpo? Nel l’epoca carolingia non ci sono più gli strumenti intellettuali per comprendere la presenza di Gesù nell’Eucarestia, che non è immaginazione (“Questo sembra…”) né una identificazione (si vede pane, non carne) né un semplice rimando simbolico.

Si arriva ai pronunciamenti del Concilio Lateranense IV del 1215 (anche dopo l’avvenuto miracolo eucaristico di Bolsena), dove si esprime la dottrina tradizionale della Transustanziazione, a partire dalle categorie di Aristotele di “sostanza” e “accidenti”; dal punto di vista della sensazione (accidenti) nell’Eucarestia non cambia nulla, ma cambia la sostanza, cioè l’essenza profonda di quel pane e quel vino. Noi associamo la “sostanza” alla “materia”, ma non è da intendere così (il pane rimane pane); la sostanza è la identità profonda. Es.: io a 5 anni ero sempre io.. magari non mi si riconosce, l’aspetto è diverso, nulla è rimasto uguale ad allora, ma sono sempre io, che sono cresciuto, perché c’è un’identità profonda che non muta. Nell’Eucarestia accade esattamente il contrario: gli accidenti non mutano, la sostanza sì.

Frazione del pane: nel gesto del pane spezzato, Gesù identifica tutto se stesso; quando, nella Messa, si compie quel gesto, in quel gesto Gesù è presente. E rimane presente in quel pane spezzato perché è la sua identità profonda, è la sua sostanza. La presenza di Cristo appare nel gesto che più di tutti esprime la sua identità più profonda. La presenza di Gesù è reale e sacramentale, perché è lì che Lui ci si da tutto.

Il pane spezzato ci attiva (“se io ricevo Lui, allora anche io devo….”); nell’Eucarestia non siamo di fronte a un atto didattico (in cui impariamo a amarci), ma se veniamo a Messa decidiamo di essere presente a Lui in maniera così intima tanto da rimanere noi in Lui e Lui in noi, tanto che il suo mistero diventa il nostro mistero.

Nell’Eucarestia noi scopriamo ciò a cui la Chiesa è chiamata ma questo ci obbliga a fare un passo di conversione, non per una istanza morale, ma per grazia, perché ne riceviamo il dono, l’attrazione.